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Siamo felici di celebrare il nostro
OSANG Talismans Extreme
con un racconto, ispirato e simbolico
di Ersilia Saffiotti, già autrice di
Dialoghi col Vulcano, Storie di corsa e altri amori, Edito da Colonnese Editore Anno di Stampa 2021

‘O SANG

Stasera il cielo sopra i tetti è giallo, sale in alto un fumo strano e denso, sento in lontananza voci, grida nei vicoli, agitazione.
Voglio andare a vedere cos’è. Nell’aria c’è un odore acre, inebriante, che mi avvolge.
Gennà nun correre, si te fai male, piglie ‘o riest, urla mia madre. Mammà, statte tranquilla, rispondo io.
Apro la porta, fa tanto caldo e non si respira.
Sono appena tornato dal mare, il sale ha formato una patina lattiginosa e ruvida sulla mia pelle brunita dal sole. Per gioco, sul braccio, ci ho scritto sopra con l’unghia … ‘O mar.
Sono nato nell’acqua e il mare al quale appartengo mi ha portato qua da lontano, lontanissimo.
Da un posto sconosciuto e antico che nemmeno me lo ricordo più.
Mi restano solo distese di radura assolate e tende bianche, mosse dal vento.
Un giorno siamo partiti su una barca e abbiamo attraversato un mare che pareva un oceano immenso. Non si arrivava mai.
Poi, però, si è vista la terra e siamo sbarcati e da allora viviamo qua, io e mia madre e qui, da sempre, mi chiamano “Auliva”, oliva, perché io ho la faccia scura.
Voglio uscire di casa.
Voglio correre per i vicoli e salire veloce lungo tutta la strada e la scalinata.
Quel fumo e quell’odore mi attirano.
Ma è stretto e la gente è tanta.
La folla mi impedisce di vedere in cima, sono ancora troppo piccolo, troppo ragazzo.
Cerco di arrampicarmi lungo la parete di una casa, di attaccarmi alla ringhiera di un balcone ma non ci riesco e cado.
Proseguo in direzione del mare di uomini e donne che gridano
e cantano e il fumo si fa sempre più intenso, l’odore sempre più penetrante.
Mi faccio male ai piedi, sbatto continuamente contro le persone e le cose riverse per strada.
Guardo verso l’alto e mi accorgo che c’è un traliccio sul quale con un po’ di sforzo potrei riuscire a salire e vedere cosa c’è, dietro quel muro di gente accalcata.
Ci provo. Sono leggero e agile.
Piedi e mani procedono veloci e li sento attaccarsi come ventosa, decisi, alla parete della trave che è sottile e alta.
Da lì potrò vedere.
Arrivo in cima in pochi istanti e mentre sto per intravedere al centro della folla la grande statua di un uomo che tutti vorrebbero per un attimo riuscire a toccare, perdo l’equilibrio e cado.
Precipito.
Sbatto al suolo e svengo.
La folla improvvisamente mi circonda e sento intorno grida disperate di donne.
‘O SANG! ‘O SANG!
Vorrei muovermi, alzarmi, ma non ci riesco.
Non posso spostare nemmeno un centimetro del mio corpo.
Mi fa male la testa.
Sono debole e inizio a sentirmi altrove.
Sogno.
Sento la gente intorno dilatarsi, sogno popoli e tempi, sogno millenni.
Mi sento sospeso in una dimensione dove tutti i tempi esistono in un solo, minuscolo istante in cui tutto si condensa, diventa grumo, diventa storia. Una storia che si ripete ma che non so dire, non riesco a decifrare. Ascolto.
È il mio stesso sangue che per uno strano mistero mi parla, in una lingua antica, arcaica e si riversa con impeto per le strade della città come un fiume, come una benedizione.
Vedo persone, mani, volti, vedo l’eternità.
Ascolto nenie di madri, suppliche di generazioni.
Intravedo fanciulli, riconosco tesori.
E mi domando dove sia io, chi sia Io.
Mi sento improvvisamente avvolto da un mantello regale, sollevato da terra e portato in alto, in braccio, nel fumo.
Il dolore svanisce e di colpo mi risveglio.
Gennà, t’avevo ditto ‘e nun te fa male.

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